Approfondimenti · Libri

The journey of mankind

Victor Grauer

“Musica dal profondo – Viaggio all’origine della storia e della cultura”

Codice Edizioni, 2015

Victor Grauer, musicista, musicologo, etnomusicologo americano, storico collaboratore di Alan Lomax nella complessa definizione del “cantometrics”, il più completo (anche se sui generis) sistema di classificazione dei molteplici stili del canto popolare, rende pubblica con questo “Musica dal profondo” la ricerca di tutta una vita. Con un approccio antropologico strutturale (anche se troppo critico nei confronti di certa odierna antropologia radicale comprensibilmente votata all’estrema contestualizzazione), musicologico, etnomusicologico, storico, scientifico, antropologico genetico, paleoantropologico, linguistico, si impegna a delineare attraverso le musiche del mondo e le tracce, o meglio le impronte, africane più o meno custodite al loro interno il lungo e faticoso viaggio che l’umanità ha compiuto, una volta uscita dall’Africa, per popolare il pianeta, fino ad arrivare ai nostri tormentati giorni. Un’opera ambiziosa (affresco metanarrativo suggestivo e di amplissimo respiro), a tratti (è vero) un po’ “semplicistica”, decisamente tecnica e al contempo davvero molto divulgativa e appassionante, che da questo momento in avanti si pone come fondamentale punto di partenza (oltre che di arrivo) per ogni prossima speculazione sull’argomento. Uno studio, grazie ai progressi della scienza genetica (e non solo), finalmente opportunamente documentato, e meglio di quanto abbiano fatto fin qui le sole ricerche archeologiche, sulla preistoria dell’umanità, che da qualche tempo a questa parte è sempre meno preistoria (la storia prima delle fonti scritte), per essere sempre più riscontrabile e verificabile storia tout court. Ne diamo solo notizia, al momento non ci è facile sviluppare una riflessione più approfondita. Abbiamo quasi voglia di rileggerlo il libro, tanto in fretta lo abbiamo divorato e quindi capito e assimilato meno di quanto avremmo dovuto e potuto. L’assunto di base, comunque, ha a che vedere con il fatto che Pigmei delle foreste dell’Africa centrale e Boscimani delle desertiche regioni dell’Africa meridionale posseggono, secondo quanto oggi dice la scienza, il più antico corredo genetico della nostra specie, il corredo genetico dei nostri lontani e ancestrali antenati. I due gruppi, i due popoli, abitanti di regioni isolate, decisamente differenti e molto distanti tra loro, differiscono in molte cose, a partire dal linguaggio e dalla conformazione fisica, ma suonano e cantano un musica estremamente simile se non identica (il volume si appoggia ad una serie di imprescindibili esempi musicali). Come’è possibile? Semplice, per modo di dire: hanno fatto parte dello stesso primigenio gruppo ancestrale, quello per lo meno formatosi quasi circa cento mila anni fa, e che con ogni probabilità ha dato inizio alla migrazione Out of Africa. A partire dal modello musicale Pigmeo-boscimane (così lo definisce Grauer), intrinsecamente polifonico (la polifonia non è certo nata in epoca basso medioevale), articolato e paritario, conservatosi apparentemente intatto per migliaia di anni, sarebbe possibile ricostruire un’ipotetica cultura di base e un’ipotetica cultura di base dell’originaria popolazione migrante, entrambe dal carattere sostanzialmente pacifico ed egualitario. Già, perchè spesso la musica può riflettere con una certa precisione l’intima organizzazione delle società nelle quali è inserita o delle quali è specchio. Un modo per provare a rispondere davvero alla domanda su chi siamo e da dove veniamo, a partire dalla conoscenza “diretta” dei nostri antenati ancestrali. Il modello Pigmeo-boscimane ha lasciato impronte in tutto il mondo o in molte delle sue parti, dal Sud Est asiatico al Pacifico Meridionale, dall’America Centrale e Meridionale alla Georgia russa o ad altre parti sparse dell’Europa. Alcune delle sue caratteristiche sono, per esempio, presenti in molta della musica medioevale europea, che tutto sommato siamo ancora abituati ad avere nelle orecchie. La tecnica dell’hoquetus, per meglio specificare, ovvero sia la stesura di un profilo melodico distribuita come a “singhiozzo” tra più voci, apparterrebbe sia al modello P-B che alla nostra musica medioevale, alla cosiddetta ars antiqua. Magari a quella della Spagna del ‘300/’400, quando cantando in onore della Vergine Maria si tentava a fatica di superare la monodia cristiana, per approdare ad una più matura coralità, finalmente espressione di una compiuta polifonia, costituita da un’educata armonizzazione delle parti (ma l’idea che in arte e in cultura si sia assistito ad un lineare e lento progresso dal più semplice al più complesso va tutto sommato sfatata, come insegna l’intricata e complicata musica di Pigmei e Boscimani). Le impronte del modello P-B (l’utilizzo dello yodel, per fare un altro esempio) non sono però d’appertutto, in India per esempio sono sostanzialmente assenti. Perchè? Per l’incredibile e funesta esplosione del vulcano Toba a Sumatra, databile tra il 75.000 e il 70.000 A.C., la più grande catastrofe naturale che il nostro mondo ricordi, per lo meno da quando ci siamo noi. Un disastro geologico, da tempo probabilmente fin troppo nominato in tutta una serie di studi (non possiamo far risalire tutto al vulcano Toba, anche perché poi di acqua e di storia e di cultura ne sono passate sotto i ponti), di proporzioni inimmaginabili, che avrebbe oscurato il cielo per un migliaio di anni, finendo per determinare il cosiddetto collo di bottiglia, la netta sparizione (prima) di una parte della cultura migrante in movimento e separazione (poi) di quel che rimaneva di quella cultura (nel gigantesco punto nevralgico probabilmente niente) da ciò che molto più lontano a oriente era riuscito a sopravvivere, perchè passato in precedenza, e grazie anche a venti che al momento dell’esplosione viaggiavano con insistenza in direzione nord-ovest. Ecco come può disperdersi oppure conservarsi anche per un tempo fin qui inimmaginabile la tradizione, ecco la prima vera svolta culturale nella storia dell’umanità. Tre sono le affermazioni teoriche del libro che riteniamo importanti: la diremmo definitiva, anche se scontata, documentata conferma dell’intera teoria sull’emigrazione dall’Africa (veniamo tutti da lì, non siamo spuntati come funghi in diverse regioni del globo); l’ormai sufficientemente solida convinzione che l’America Latina è stata popolata via terra e non dal Pacifico, come qualcuno ancora oggi avventurosamente sostiene (anche se la teoria, formulata sulla scorta delle profonde similitudini, soprattutto musicali, tra indigeni latini e per esempio melanesiani, è tutto sommato recente e affascinante), da popolazioni ancor dirette discendenti degli “originari” migranti, mentre l’America del Nord (da qui culture e musiche differenti) sarebbe stata popolata da genti provenienti dall’Asia Centrale, già separatesi dal nucleo “originario” di migranti, magari successivamente e a causa dell’esplosione del Toba, rimaste per altro impigliate nella morsa dei ghiacci dell’ultima glaciazione (tra il 20.000 A.C. e l’approssimarsi del primo neolitico), che ne avrebbe di molto ritardato le mosse, bloccandole prevalentemente nei territori della Beringia; e l’ipotesi enucleata in modo molto suggestivo che il linguaggio sia nato dalla musica: il salto dal vocalizzo gridato dei bonobo più che degli scimpanzé al cantato può aver preceduto e presagito la nascita del linguaggio umano. Noi possiamo intendere un enunciato sia foneticamente, in soldoni il suono che ci arriva alle orecchie, sia fonemicamente, il significato che attribuiamo a quel suono sulla scorta di tutti i nostri “condizionamenti” psicologici consci ed inconsci. Anche nella musica il tono è un tono, ovvero sia un suono, una nota (per altro già di per sè una sorta di complesso costrutto sociale, espressione di molteplicità e non di unicità, se non altro a partire dai suoi intrinseci armonici), mentre il tonema è il significato che diamo a quella nota, che non abbiamo potuto fare a meno di inserire all’interno di un contesto musicale organizzato. Non potrebbe essere diversamente, il valore di un termine, dicono alcuni linguisti, se consideriamo il linguaggio come un insieme di termini indipendenti, non può che derivare dalla presenza simultanea di altri termini. Ma è il linguaggio musicale, finalmente definibile come vero e proprio linguaggio, ad aver preceduto con ogni probabilità quello parlato “realmente significante”. D’altronde le lingue africane sono tutte o quasi tonali, nel senso che il significato di ogni enunciato, anche di ogni parola, cambia a seconda della distribuzione degli accenti al suo interno. La musica, dunque, come scrive Stefano Zenni nell’introduzione italiana al volume “non è né un sottoprodotto dell’evoluzione, né un piacevole gingillo che abbellisce la vita. È invece una forma centrale del nostro essere animali culturali. Questo libro ci ricorda che, a saperla ascoltare (per quanto ci riguarda è la “missione” di tutta una vita), qualsiasi musica è un reperto vivente che in ogni istante racconta di quello che siamo oggi (e, aggiungiamo noi, come uno spettro sonoro, di quello che siamo stati) e intanto ci emoziona, perchè rimette sempre in circolo, dentro di noi e tra di noi, quella nostra storia antica e profonda”. Marco Maiocco